Riportiamo un articolo pubblicato da “Il Bo, il giornale dell’Università di Padova” particolarmente interessante perché scritto da un osservatore indipendente ed equilibrato.
L’8 gennaio, il Bureau of Labor Statistics americano ha pubblicato le sue previsioni sui “lavori del futuro”, cioè delle occupazioni che saranno più richieste nei prossimi anni. Risultato: preparatevi a fare la badante, l’infermiere o la commessa. Ci saranno delle possibilità anche come addetti alle pulizie e autista di camion. Sono previsioni che ci riguardano perché la struttura del mercato del lavoro su cui sono basate non sembra una specificità americana ma piuttosto una situazione largamente comune ai paesi di antica industrializzazione. Anzi l’Europa, caratterizzata da un più rapido invecchiamento della popolazione a causa delle sue politiche anti-immigrati, avrà ancora più bisogno di infermieri e paramedici e meno di altri posti di lavoro professionalmente ed economicamente interessanti. Ma vediamo l’elenco del BLC, che ha come orizzonte il 2022.
Badanti, infermieri diplomati, commessi, assistenti a domicilio, cuochi e camerieri nei fast food, infermieri non diplomati, segretarie, addetti al customer service, addetti alle pulizie, lavoratori delle costruzioni. Il primo lavoro dirigenziale nella lista si trova all’undicesimo posto: manager, un termine che peraltro include anche il direttore e il vicedirettore di un McDonald’s. Nella lista delle 20 professioni in crescita all’orizzonte 2022 ne troviamo cinque legate alla sanità, per un totale di 1,6 milioni di posti di lavoro, tre alle pulizie o ai servizi in casa (1,04 milioni), tre alle costruzioni (720.000).
Negli anni scorsi il BLC aveva pubblicato analisi delle stime dei mestieri in crescita nei prossimi anni che andavano in direzione diversa. Nel 2006, per esempio, la lista comprendeva numerose professioni informatiche, viste come in rapida crescita all’orizzonte 2016: gli specialisti di reti (+53,4%) e i tecnici informatici (+44%). Le professioni finanziarie (consulenti finanziari e analisti) erano anch’esse considerate in forte espansione. Queste stime sono state rimesse in discussione dalla crisi della finanza esplosa nel 2008, che si è immediatamente trasmessa al resto dell’economia: solo la sanità e i servizi alla persona oggi sono considerati in crescita, mentre le costruzioni si limitano a recuperare, molto lentamente, i posti di lavoro persi negli ultimi cinque anni e della finanza non si parla più.
Queste previsioni americane dovrebbero farci riflettere anche sull’Europa e sulle “politiche del lavoro” che sono ogni giorno sulle prime pagine dei giornali. Per farlo, occorre partire dalla cosiddetta strategia di Lisbona: il 23 e 24 marzo 2000 si svolse in Portogallo una sessione straordinaria del Consiglio europeo dove venne varato il cosiddetto processo di Lisbona il cui obiettivo era far diventare l’Unione, entro il 2010, “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro”. A tale scopo, tutti i paesi membri varavano ambiziose riforme dei sistemi scolastici e si impegnavano a investire maggiormente in ricerca e sviluppo (cosa poi in realtà non avvenuta).
Il 2010 è passato e oggi dovremmo chiederci cosa rimane della retorica di allora: “La società dell’informazione trasformerà l’Europa in una società e in un’economia in cui le tecnologie avanzate verranno usate per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini. Se l’Europa saprà cogliere le opportunità che si prospettano, la società dell’informzione presenterà tutta una serie di vantaggi tra cui livelli di vita più elevati (…) posti di lavoro più interessanti grazie all’uso di tecnologie avanzate e di organizzazioni flessibili del lavoro. Queste stesse tecnologie consentiranno ai lavoratori di migliorare le loro abilità nel contesto di un processo di apprendimento lungo tutto l’arco della vita volto ad accrescee le loro prospettive occupazionali e i loro guadagni e serviranno a migliorare l’educazione e l’apprendimento in ambito scolastico”.
Disonestà intellettuale o ingenuità? Anche 14 anni fa doveva essere chiaro, sulla base della struttura demografica dei grandi paesi europei, che i mestieri del futuro sono non l’informatico o il neuroscienziato bensì il commesso nei negozi di telefonini, l’infermiere non diplomato, la badante. Già da parecchi anni le professioni in forte crescita sono quelle dei servizi alla persona: negli Stati Uniti ci sono 40 milioni di persone che si prendono cura di familiari anziani che hanno bisogno di assistenza. In Italia ci sono più badanti che maestri e professori, il che non dovrebbe stupire visto che un italiano su quattro ha più di 65 anni mentre solo uno su sette ne ha meno di 14.
Naturalmente, questo non esclude l’esistenza in futuro di professioni creative, di lavori legati alla cultura e all’informazione: in una società iperconnessa esisteranno sempre i produttori di contenuti per videogiochi, social network, televisione, siti web, giornali, editoria. È però difficile calcolare quanti di questi lavori saranno retribuiti, e in che modo, a causa del proliferare di piattaforme di condivisione. In altre parole: se progettare un nuovo videogioco per una multinazionale potrà essere redditizio, l’ambizione di fare il fotografo potrà essere utile solo per chi avrà un talento fuori dal comune, gli altri si troveranno ai margini a causa della capacità dei telefonini di scattare foto e della possibilità di condividerle su Instagram o altre piattaforme.
Fabrizio Tonello