Radicata, diffusa, necessaria, e anche molto sommersa. Così è la presenza delle assistenti familiari, le badanti, che continuano ad accompagnare migliaia di famiglie italiane. Nonostante la crisi e la perdita di potere d’acquisto di pensioni e salari, infatti, il lavoro privato di cura tiene, magari sommerso, rimanendo pur sempre una risposta essenziale alla non autosufficienza.
Su questo fenomeno fanno un bilancio Sergio Pasquinelli e Giselda Rusmini. Un primo aspetto riguarda i dati quantitativi. La stima effettuata dagli autori, incrociando i dati Inps, quelli sui flussi dei cittadini non comunitari nonché le testimonianze dirette dei protagonisti (associazioni di volontariato, cooperative sociali etc), dà una presenza in Italia di almeno 830.000 assistenti familiari, di cui il 90% straniere e due terzi irregolari o sommerse.
“Tenendo presente che una parte di esse segue più di un anziano (circa due o tre), il numero di assistiti da una badante si può ragionevolmente stimare attorno al milione di ultrasessantacinquenni”, si sottolinea. Un numero ingente, pari al triplo degli anziani ricoverati nelle strutture residenziali (Rsa) e al doppio di quelli seguiti a domicilio (Adi). A svolgere il lavoro privato di cura sono quasi sempre le donne, prevalentemente straniere, anche se la presenza delle italiane (il 10% circa del totale) è in crescita. L’eta’ media è di 42 anni: le più anziane (49 anni) le europee dell’Est e le italiane (48 anni).
Delle 830mila badanti che lavorano in Italia, però, circa due terzi stanno nel cosiddetto sommerso o nell’irregolarità. Una su 4 (26%, pari a 216.000 lavoratrici), infatti, lavora e risiede irregolarmente in Italia. Una su tre (36%, pari a 299.000 lavoratrici), pur avendo regolare permesso di soggiorno o pur essendo italiana, non ha un regolare contratto di lavoro. E infine c’è chi lavora in regola con un contratto: il 38% del totale, pari a 315.000 lavoratrici.
“Servizi sociali colpiti da continui tagli alle risorse – affermano Pasquinelli e Rusmini – per la non autosufficienza, aumento delle rette nelle Rsa, difficoltà economiche delle famiglie, accresciuta disponibilità delle donne italiane a cercare lavoro in questo settore. Sono fattori diversi che spingono verso un mercato sempre più sommerso, un lavoro a ore meno impegnativo economicamente, una presenza italiana più corposa, un maggiore utilizzo di risorse familiari”.
E poi, osservano, “la solitudine e la dimensione puramente individuale del lavoro di cura sono all’origine di molti dei suoi limiti”. Per questo, concludono, è bene costruire “una filiera leggera di azioni centrate sull’ascolto della domanda, l’accompagnamento delle persone, il collegamento coi servizi sociali e sociosanitari”. Insomma serve “creare un’alternativa credibile al mercato sommerso”.
(Italia Oggi)